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Da quando ho iniziato a scrivere, ho sempre parlato di argomenti generali senza che un post domenicale fosse dedicato ad un artista, un designer o un brand in prima persona (se non per ricollegarmi a macro concetti del mondo moda). Oggi vorrei cambiare delle regole che da Gennaio ho imposto a me stessa, forse per mantenere quel velo di neutralità di chi è alle prime armi. In questo articolo vorrei spiegare il mio più personale punto di vista su un brand che, rappresentando la storia della moda italiana, è una costante visione di contemporaneità: Valentino, un nome una garanzia. Non ho mai nascosto un certo debole per le creazioni di Pier Paolo Piccioli che negli ultimi anni ha reso globale il brand di Valentino Garavani. Ogni fashion week il tocco riconoscibile del designer ha percorso un strada quasi parallela rispetto ad altri grandi colossi, debolmente sostenuti da improponibili collab e poca attenzione al prodotto. Valentino è oggi il brand dalle idee coerenti, capace di essere credibile sia agli occhi di star internazionali sulla scalinata di piazza di Spagna che alla statale di Milano sotto lo sguardo di centinaia di studenti. L’ultima sfilata della Milano Fashion Week è stata l’ennesima conferma della direzione presa dal brand italiano. La collezione di Piccioli parla di una moda che cambia senza il bisogno di fare tanto rumore. Parla di accessibilità ai giovani, di un’estetica senza fronzoli, del buon gusto di uno stile che è bello nella sua chiarezza. Vorrei poter convincere chi legge che la collezione di Valentino sia la migliore tra quelle dell’ultima settimana della moda ma non è questo il mio mestiere. Mi basta concentrare l’attenzione su un brand che ha scelto un fiore come elemento chiave di una collezione maschile, dimostrando un salto concettuale che non ha bisogno di tante opere di convincimento per essere apprezzato.